[Oa-italia] Fwd: Re: Perchè academia.edu e research.gate NON sono un OA repository e non rispondono alle policy OA
Maria Chiara Pievatolo
pievatolo a dsp.unipi.it
Gio 28 Gen 2016 10:57:29 CET
On 28-01-2016 07:19, Roberto Caso wrote:
> 3) Etica e progresso. In questa storia abbiamo fatto un’altra scoperta
> clamorosa. Ohibò!Ohibò! Abbiamo scoperto che molti scienziati pensano
> più alla propria visibilità e al proprio successo (contemplano con
> soddisfazione o frustrazione i rankings generati da Academia, RG, SSRN
> ecc. ecc.) che alla ricerca della verità. Insomma non sono molto
> diversi da coloro che usano i social networks generalisti per mera
> vanità. Anzi forse sono peggio (visto quel che si legge su plagio,
> falsificazione dei dati, reti citazionali costruite ad hoc ecc.).
Si potrebbe anche dire l'opposto: che i media sociali proprietari
generalisti hanno semplicemente esteso e migliorato il modello
dell'editoria scientifica della seconda metà del XX secolo - vale a dire
la "scoperta" che la gente è disposta a lavorare gratis e regalarti i
suoi dati in cambio di un po' di connessione e di gratificazione della
vanità. Non è per questo che abbiamo avuto la serial prices crisis?
Personalmente penso che Academia.edu sia come l'oste che magnifica il
suo vino, ma non ti fa visitare la sua cantina: ho da tempo un account
sperimentale su Academia.edu, che non aggiorno mai e nella cui pagina
invito la gente a *non* seguirmi lì ma sul web aperto. Ebbene, poco
tempo fa ho ricevuto una lettera da Academia.edu che mi annunciava
trionfalmente che ero - a loro dire - nel top 5% degli autori più
cercati. Che cosa era successo? Ero improvvisamente diventata una
academic star? No, molto più banalmente, stavo organizzando il convegno
Aisa e 10 o 20 persone in più del solito avevano cercato il mio strano
cognome su Google...
Credo che come singoli abbiamo un serio problema di alfabetizzazione
informatica (e talvolta pure umana :-) ) - soprattutto se non abbiamo
mai avuto contatti col mondo del software libero
(http://www.agoravox.it/Intervista-a-Richard-Stallman-Non.html).
A livello istituzionale, invece, ci sono molte forze, politiche ed
economiche, che ci rendono demotivati e rinunciatari, e ci inducono ad
affidare a privati funzioni che dovrebbero essere pubbliche e pensate
per il lungo termine. Ecco che cosa scriveva E.Morozov nel 2013
(http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/debatten/the-internet-ideology-why-we-are-allowed-to-hate-silicon-valley-12658406.html
- gli asterischi sono miei):
n the next two-three years, there would come a day when Google would
announce that it’s shutting down Google Scholar – a free but completely
unprofitable service – that abets millions of academics worldwide. *Why
aren’t we preparing for this eventuality by building a robust
publicly-run infrastructure? Doesn’t it sound ridiculous that Europe can
produce a project like CERN but seems incapable of producing an online
service to keep track of papers written about CERN?*
Comunque, dopo aver sentito, tempo fa, un conferenziere esperto
confondere allegramente le piattaforme proprietarie e gli archivi ad
accesso aperto, ho pubblicato una sintesi in italiano dell'articolo
californiano qui:
http://btfp.sp.unipi.it/?p=5661
Se avete tempo, mi farebbe piacere usaste lo spazio dei commenti per
arricchire il testo con le parti per voi più importanti di questa
discussione.
A presto, grazie,
MCP
--
Maria Chiara Pievatolo
Dipartimento di Scienze politiche Università di Pisa
Via Serafini 3 56126 Pisa (Italy)
+39 050 2212479
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