[Oa-italia] Elsevier e la transizione all'Open Access
Maria Chiara Pievatolo
mariachiara.pievatolo a unipi.it
Mar 3 Ott 2017 18:49:22 CEST
On 03-10-2017 15:00, Stefano Salvia wrote:
> Meglio un oligopolio in cui tutti possono leggere ma solo pochi possono
> pubblicare, o un oligopolio in cui tutti possono pubblicare ma solo
> pochi
> possono leggere (se proprio dobbiamo scegliere tra due mali, essendo in
> entrambi i casi in regime di oligopolio commerciale, che è il vero
> problema
> alla radice)?
Il fatto stesso che venga posto il dilemma in questi termini - è meglio
leggere gratis oppure scrivere gratis? - indica che nella valutazione
della ricerca esiste una discrepanza fra il leggere e lo scrivere degna
di una vecchissima freddura sui carabinieri, i quali girerebbero sempre
in coppia perché uno sa leggere e l'altro sa scrivere.
I ricercatori non sono carabinieri: devono poter - e saper - leggere
per conoscere e discutere quanto fanno gli altri e devono poter - e
saper - scrivere per far conoscere e discutere le proprie ricerche. Se
si dice: è più importante scrivere che leggere, è chiaro che questa
scrittura carabinieresca, essendo senza lettura e senza discussione, ha
molto più a che vedere con la carriera che con la scienza. Viceversa, se
si dice che è più importante leggere che scrivere, questa lettura,
altrettanto carabinieresca, riguarda, molto più che la scienza, una sua
fruizione passiva o, se va bene, applicativa.
Non lo chiedo ai dottorandi, naturalmente, che non portano la
responsabilità di colpe altrui: ma a me sembra che noi, se non fossimo
carabinieri da barzelletta ma ricercatori e amministratori di enti di
ricerca consapevoli, dovremmo rifiutare questo dilemma: un sistema di
pubblicazione *scientifica* non è tale se non rende possibile a tutti
leggere e scrivere *allo stesso modo*.
Si obietterà: utopia! Come fare a meno delle economie di scala
capitaliste dell'editoria commerciale? Rispondo: sarebbe perfettamente
possibile farne a meno, in un sistema in cui leggere e scrivere fossero
in equilibrio: attualmente, anche senza un'infrastruttura pubblica
coerente (non parlo, qui, dei progetti dell'UE) esistono gli archivi
aperti, esistono gli overlay journals, esistono iniziative come SJS,
esistono moduli per la revisione paritaria aperta. Ed è già possibile
creare una piattaforma ad accesso aperto europea semplicemente federando
l'esistente:
http://blogs.lse.ac.uk/impactofsocialsciences/2017/04/10/rather-than-simply-moving-from-paying-to-read-to-paying-to-publish-its-time-for-a-european-open-access-platform/
Dell'editoria commerciale, insomma, si potrebbe benissimo senza, sul
piano economico e tecnologico, in particolare nelle scienze umane
(https://btfp.sp.unipi.it/it/2017/06/ri-viste/). Nella stessa età della
stampa, del resto, la pubblicazione scientifica è rimasta per molto
tempo di nicchia e sovvenzionata, per l'esiguità del suo mercato. Il
problema non sta nell'economia: sta nei sistemi di valutazione della
ricerca, in Italia addirittura imposti da autorità di indiretta
emanazione del potere esecutivo, che schiacciano i giovani ricercatori e
a cui i professori si piegano *pur potendone fare a meno*.
> Alla fine il vero male da combattere, dal mio punto di vista di
> ricercatore
> precario, sono le riviste OA predatorie che spuntano ogni giorno come
> funghi e purtroppo accalappiano molti colleghi ingenui e desiderosi di
> pubblicare
Siffatte riviste hanno successo proprio perché i giovani ricercatori
sono educati a una scrittura da carabinieri delle barzellette. L'open
access, in tutto questo, è puramente accidentale: le riviste predatorie
rispondono, semplicemente, a un'esigenza di scrivere *per conto terzi*
indotta dal sistema di valutazione.
> e che non hanno ancora capito che sei tu potenziale autore a
> dover cercare le riviste e gli editori, non il contrario!
>
Ecco un altro effetto del sistema: ricercatori convinti di valere così
poco da credere che una rivista (o un editore) seria sia per definizione
quella a cui bisogna prostrarsi, perché è un indicibile onore offrirgli
il nostro lavoro senza essere pagati e qualche volta addirittura pagando
di tasca nostra.
Questo messaggio è una risposta a Stefano Salvia, ma non intende affatto
criticare Stefano Salvia, bensì le persone e le strutture che
impediscono nei giovani - e anche, e in questo caso per loro colpa, nei
vecchi - lo sviluppo dello spirito di una stima razionale del proprio
valore e della vocazione di ogni essere umano a pensare da sé.
Scusatemi per il moralismo.
A presto,
MCP
--
Maria Chiara Pievatolo
Dipartimento di Scienze politiche Università di Pisa
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