[Oa-italia] Quanto manca la formazione Open access

Roberto Caso roberto.caso a unitn.it
Mer 10 Maggio 2017 22:11:17 CEST


Buonasera,

Sintesi perfetta.
Personalmente preferisco - eticamente - l'opzione B).
Posso solo aggiungere che è l'unica praticabile giuridicamente.

Peraltro, avevo seguito su FB la discussione che ha visto Elena Giglia
vittima di un'aggressione verbale.
Le motivazioni dell'aggressione possono essere molteplici.
La più banale è che si tratti di un effetto collaterale della sindrome
"Napalm51".
Ma potrebbero esserci motivazioni più profonde.
Il clima nelle università è oramai da anni profondamente e diffusamente
avvelenato.
La valutazione di Stato ha, quanto meno, alimentato questo clima (io sono
propenso a credere che lo abbia generato assieme al declino del
finanziamento pubblico).
Uno dei risultati "apprezzabili" della valutazione di Stato è di aver messo
gli uni contro gli altri. Un risultato perfetto.
PTA contro docenti, precari contro docenti di ruolo, associati contro
ricercatori, dottorandi con borsa contro dottorandi senza borsa ecc.

La scienza aperta - se l'ho intesa bene - è inconciliabile con la
valutazione di Stato e con la commercializzazione della ricerca (che è poi
la madre della valutazione di Stato).

Serve la formazione, come dice l'oggetto di questa discussione. Non servono
premi e punizioni.

A presto,
rc





Il giorno 10 maggio 2017 19:59, Maria Chiara Pievatolo <
mariachiara.pievatolo a unipi.it> ha scritto:

> Salve a tutti.
>
> Trovandomi dalla parte dei docenti, vi dico che - come già sapete - il
> collegamento a VQR e ANVUR ha trasformato, agli occhi di molti, quello
> che restava dell'uso pubblico della ragione in un obbligo burocratico
> odioso, il cui senso, tutt'al più, è aumentare un po' il numero delle
> proprie citazioni.
>
> Ecco una frase che ho sentito di recente: "Prima c'era il publish or
> perish, ora c'è l'open access". Non ci crederete, ma chi l'ha
> pronunciata intendeva, in buona fede ed essendo tutt'altro che quisque
> de populo, promuovere l'uso di IRIS.
>
> È meglio costringere o no? A me sembra che ciascuna delle due vie si
> integri in tipi di progetti diversi, che qui riassumo, per brevità ed
> estremismo, in due:
>
> A. Se ci interessa solo riempire IRIS, la soluzione più semplice è
> costringere. I ricercatori italiani sono oggetto di molti oneri
> burocratici, a cui si sottomettono senza neppure protestare troppo;
> aggiungerne uno, e a fin di bene, non costa nulla. Poi, però, non ci si
> deve né indignare né stupire se dei ricercatori tenuti in una condizione
> di minorità accuratamente coltivata reagiscono mugugnando infantilmente
> su Facebook.
>
> B. L'altra soluzione, che avrebbe come effetto collaterale ricercatori
> che non vanno frignando sui media sociali proprietari, è infinitamente
> più difficile. Si deve infatti spiegare che l'accesso aperto è il primo
> passo di un uso pubblico della ragione che insegni a leggere di nuovo i
> testi invece di praticare il culto feticistico della collocazione
> editoriale, e a trattare i dati come dati di discussione e non come
> segreti alchemici. Non a caso il primo punto della  Amsterdam Call for
> Action for Open Science, già segnalata da Elena Giglia, è proprio il
> nostro convitato di pietra:  *change assessment, evaluation, and reward
> systems in science*.
>
> A e B sono gli estremi di un segmento che comprende una serie di
> politiche possibili, più o meno lontane dall'uno o dall'altro, che
> lascio immaginare a chi è più esperto di me (le rivoluzioni copernicane
> sono astronomicamente affascinanti, ma politicamente bisogna anche
> farle...). Purtroppo, però, visto che il senso dell'OA sub A) è molto
> diverso da quello sub B), anche la formazione all'OA andrebbe pensata
> diversamente a seconda che si sia più vicini ad A o a B: se l'OA è un
> onere burocratico che ti impone l'ateneo per massimizzare le citazioni e
> spuntare buone valutazioni, sarebbe addirittura controproducente
> insegnarlo come se fosse l'OA di tipo B (*), e - naturalmente -
> viceversa.
>
> Non scrivo, naturalmente, queste cose per i bibliotecari, che sanno
> molto e possono poco, ma pensando a chi sa di meno ma potrebbe di più.
>
> A presto,
> MCP
>
>
> (*) Che succede se scopri che, nonostante l'OA, continuano a citarti
> poco? Non è un problema se sei un ricercatore convinto secondo la
> visione sub B); lo è invece se sei un ricercatore persuaso secondo la
> visione sub A)...
>
>
>
>
> --
> Maria Chiara Pievatolo
> Dipartimento di Scienze politiche Università di Pisa
> Via Serafini 3 56126 Pisa (Italy)
> +39 050 2212479
> http://btfp.sp.unipi.it https://twitter.com/btfp1
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> OA-Italia a openarchives.it
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>



-- 

Roberto Caso

Professore Associato di Diritto Privato Comparato

Università di Trento - Facoltà di Giurisprudenza

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