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<meta http-equiv="Content-Type" content="text/html; charset=utf-8">
</head>
<body text="#000000" bgcolor="#FFFFFF">
<p>Grazie Luigi per la questione posta (e per la citazione :-)) e
Elena per i contributi sempre ricchi ed interessanti.</p>
On 07/03/2018 12:22, Elena Giglia wrote:<br>
<blockquote type="cite"
cite="mid:CAMn2N3DLmomHqiOAc4KB-qMwKnDnLss3viUh11cRH=gt2+inAw@mail.gmail.com">
<div dir="ltr">
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<div>Buongiorno Luigi<br>
</div>
in realta', credo che la questione sia
un po' piu' complessa.<br>
</div>
1) Noi siamo abituati a pensare al
preprint come una delle possibili forme
consentite per il deposito in Open Access,
e in quest'ottica a pensarlo come il primo
step verso la pubblicazione finale.<br>
</div>
Su questo, ricordo che tempo fa era uscita
una nota molto polemica che dimostrava
appunto come in realta' le modifiche
rispetto alla versione pubblicata fossero
cosi' marginali da far chiedere all'autore:
ma allora, il ruolo dei reviewers e
sopratutto degli editori - che poi
impediscono di depositare il "loro" prodotto
finale, ossia il pdf editoriale - qual e'?
Ecco l'articolo: <a
href="https://arxiv.org/abs/1604.05363"
moz-do-not-send="true">https://arxiv.org/abs/1604.05363</a><br>
</div>
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</div>
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</div>
</blockquote>
Proprio qualche giorno fa ho intercettato questo recente paper sul
tema: "Comparing published scientific journal articles to their
pre-print versions"
(<a class="moz-txt-link-freetext" href="https://link.springer.com/article/10.1007/s00799-018-0234-1">https://link.springer.com/article/10.1007/s00799-018-0234-1</a>).<br>
Non ho letto l'articolo in modo approfondito, ma in sostanza hanno
fatto un'analisi simile a quanto proponeva Luigi, evidenziando che i
testi da pre-print a final paper generalmente variano poco.<br>
<br>
<blockquote type="cite"
cite="mid:CAMn2N3DLmomHqiOAc4KB-qMwKnDnLss3viUh11cRH=gt2+inAw@mail.gmail.com">
<div dir="ltr">
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<div>
<div>Credo che valga la pena approfondire questo aspetto dei
preprint, e non restare legati al nostro "vecchio"
concetto di step 1 della pubblicazione finale.<br>
</div>
</div>
<div>Personalmente, ritengo che abbiano un potere molto piu'
"disruptive" del Gold OA, che in parte non fa che perpetuare
le logiche monopolistiche degli editori commerciali (vedi
tutte le critiche alla proposta Max Planck).<br>
</div>
</div>
</div>
</blockquote>
Concordo pienamente con quanto suggerisce Elena.<br>
Un grosso cambiamento sarebbe possibile se ci si riappropriasse del
processo scientifico di validazione/valutazione della qualità (che
cmq già ora viene fatto dai ricercatori, non dai publisher),
attraverso piattaforme aperte di pre-pubblicazione, revisione,
miglioramento dei prodotti della ricerca.<br>
Questo è ostacolato secondo me in primo luogo da processi di
valutazione dei ricercatori, degli istituti/università e della
ricerca in generale che sono ancora troppo legati a criteri "vecchi"
che si stanno dimostrando inadeguati (journal impact factor e
valutazioni alla ANVUR in primis). Questo si porta dietro
negativamente molto altro...<br>
<blockquote type="cite"
cite="mid:CAMn2N3DLmomHqiOAc4KB-qMwKnDnLss3viUh11cRH=gt2+inAw@mail.gmail.com">
<div dir="ltr">
<div class="gmail_extra">
<div><br>
</div>
Il giorno 6 marzo 2018 17:06, Siciliano Luigi <span dir="ltr"><<a
href="mailto:Luigi.Siciliano@unibz.it" target="_blank"
moz-do-not-send="true">Luigi.Siciliano@unibz.it</a>></span>
ha scritto:<br>
<div class="gmail_quote">
<blockquote class="gmail_quote" style="margin:0 0 0
.8ex;border-left:1px #ccc solid;padding-left:1ex">
<div link="blue" vlink="purple" lang="EN-US">
<div class="m_-8791770178173465306WordSection1"><br>
<p class="MsoNormal"><span
style="font-size:11.0pt;font-family:"Calibri",sans-serif;color:#1f497d"
lang="IT">Ora, se si sostiene che si può fare
riferimento a un testo in pre-print in una
bibliografia di un lavoro scientifico, si ritiene
implicitamente che le modifiche eseguite dopo la
peer review siano marginali se non formali. Non
dovrebbe darsi cioè, citando un pre-print o una
parte di esso, di costruire un ragionamento
scientifico su un assunto che invece non sia
presente nel post-print, o che nel post-print sia
stato corretto o modificato in maniera importante.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span
style="font-size:11.0pt;font-family:"Calibri",sans-serif;color:#1f497d"
lang="IT">Questo assunto non mi pare affatto
banale. Non so dire quanto spesso, ma può capitare
che l’accettazione dei papers, per esempio in
alcune conferenze, sia vincolata all’effettuazione
di alcune correzioni o approfondimenti. E allora
quanto, in realtà, il contenuto di un pre-print
può essere diverso dal lavoro finale? Può capitare
che una conclusione affrettata o alcuni errori
siano presenti in un pre-print e questo infici il
lavoro del ricercatore che proprio a queste
conclusioni o dati erronei (poi corretti nel
post-print) faccia riferimento?</span></p>
</div>
</div>
</blockquote>
</div>
</div>
</div>
</blockquote>
su questo mi sento di fare una puntualizzazione/approfondimento.<br>
Secondo me il pre-print ha due grandi pregi:<br>
<ul>
<li>permette di anticipare l'uscita di idee e risultati della
ricerca, evitando di attendere i talvolta lunghi percorsi di
pubblicazione formale/standard; </li>
<li>permette a chiunque, in modo libero (nel senso pieno di
"libre", se viene associata una licenza adeguata, e.g. CC-BY) di
accedere, consultare e riutilizzare dei contenuti di ricerca</li>
</ul>
<p>Una buona pratica nell'utilizzo dei preprint credo debba
includere l'aggiornamento dei riferimenti a successive versioni
(post-print e paper finale) se/quando disponibili e la
consapevolezza di quanto evidenzia Luigi, cioè che ci possano
essere contenuti incorretti (questo è però vero anche per paper
finali passati sotto la revisione—quasi sempre anonima—di 2-3
revisori!).</p>
<p><b>Se un final paper ancora non esiste</b>, la citazione di
pre-print in un lavoro secondo me è comunque positiva, perché
permette di ragionare su spunti di ricerca nuovi che altrimenti
semplicemente non potrebbero essere inclusi perché non
accessibili. Riguardo alla qualità di un pre-print, sta anche alla
responsabilità di ogni ricercatore basare le proprie ricerche con
consapevolezza su lavori sui quali si è fatta una certa analisi
personale di qualità.</p>
<p><b>Se un final paper esiste</b>, ma ci si è basati fino a quel
punto su una versione pre-print perché non si aveva la possibilità
di accedere al finale, credo sia buona pratica cercare di ottenere
una copia del paper finale chiedendo direttamente all'autore
oppure tramite qualche servizio bibliotecario. Credo possa essere
uno sforzo che però permette di eventualmente "correggere" alcuni
degli errori che evidenziava Luigi.</p>
<p>Finisco con il dire che potrebbe essere buona abitudine, se si
chiede direttamente a qualche autore copia di un paper, suggerire
anche di caricare in un repository aperto il pre-print e (se i
tempi di embargo sono trascorsi) anche il post-print, cosicché
tutti possano in seguito beneficiarne.</p>
<p>m2c</p>
<p>Ale</p>
<p>P.S. ah, non è stato citato qui, ma va sempre bene ricordarlo...
evitiamo per favore di considerare ResearchGate come il luogo
ideale per condividere i risultati delle nostre ricerche :-)</p>
<br>
<div class="moz-signature">-- <br>
<font size="2" face="courier,verdana,arial,sans-serif"
color="grey">
--
<p>Alessandro Sarretta</p>
<p>
skype/twitter: alesarrett<br>
Web: <a href="http://ilsarrett.wordpress.com">ilsarrett.wordpress.com</a>
</p>
<p>Research information:<br>
</p>
<ul>
<li><a
href="http://scholar.google.it/citations?user=IsyXargAAAAJ&hl=it">Google
scholar profile</a></li>
<li><a href="http://orcid.org/0000-0002-1475-8686">ORCID</a></li>
<li><a
href="https://www.researchgate.net/profile/Alessandro_Sarretta">Research
Gate</a></li>
<li><a href="https://impactstory.org/AlessandroSarretta">Impactstory</a></li>
<!-- <li><a href="https://impactstory.org/AlessandroSarretta"><img src="https://impactstory.org/logo/small" width="80" /></a></li> -->
</ul>
</font>
</div>
</body>
</html>