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<meta content="text/html; charset=windows-1252"
http-equiv="Content-Type">
</head>
<body bgcolor="#FFFFFF" text="#000000">
Bella discussione, non c'è che dire! :)<br>
<br>
<div class="moz-cite-prefix">On 27/01/2016 21:08, Stefano Salvia
wrote:<br>
</div>
<blockquote
cite="mid:CAHYeEcBHmTDwSv+ZQgjz5-=Z8iiDKy+Zmpo=2GvD2rDZ2=iEcw@mail.gmail.com"
type="cite">
<div dir="ltr">Circa 300 colleghi hanno visualizzato il mio
profilo, sono stato "aggiunto" e ho "aggiunto" ricercatori
italiani e stranieri (anche asiatici e mediorientali) che si
occupano di cose vicine ai miei interessi di studio o comunque
affini, e non avrei avuto altro modo per entrare in contatto con
loro. Mi hanno scritto in diversi e ho avuto occasioni di
discussione che altrimenti mi sarebbero state precluse. In un
mondo dove "fare rete" è sempre più
impellente, evidentemente per "access to knowledge" non si può e
non si deve intendere solo l'accessibilità materiale della
produzione scientifica, il fatto che io possa accedere e fruirne
liberamente, è necessario anche tutto l'aspetto relazionale per
"gradi di separazione" che piattaforme come Academia, Research
Gate o Linkedin assicurano.
<div><br>
</div>
<div>Per la mia esperienza posso concludere che un articolo
condiviso non è accessibile ed interessante in sé, in quanto
semplicemente disponibile, ma in quanto articolo pubblicato da
un collega con cui mi interessa essere in contatto, che mi
interessa "leggere" e magari recensire, e magari discuterci.
Un articolo pubblicamente disponibile in un repository resta
lettera morta se non sono motivato ad andare a leggermelo
perché ho scoperto via social che c'è il collega tal dei tali
nell'Università tale dei tali che si occupa proprio di quello
che mi interessa approfondire.</div>
</div>
</blockquote>
tutto questo sicuramente è vero, l'interazione tra colleghi vicini e
lontani è ingrediente fondamentale per interessarsi, conoscere,
approfondire.<br>
Io per esempio uso molto Twitter per questo tipo di interazioni e
molto meno Academia o Research Gate, ma queste sono scelte
personali.<br>
<blockquote
cite="mid:CAHYeEcBHmTDwSv+ZQgjz5-=Z8iiDKy+Zmpo=2GvD2rDZ2=iEcw@mail.gmail.com"
type="cite">
<div dir="ltr">
<div><br>
</div>
<div>Questo per dire che a mio giudizio se si vuole che i
repositories "funzionino" e la via green decolli bisogna per
così dire unire all'etica dei repositories la pragmatica dei
social network. Un repository dovrebbe essere al tempo stesso
un archivio, una "rivista online green OA" latu sensu
(strutturata per directories tematiche e parole chiave, come i
"research interests" di Academia) e un forum-social network in
cui essere "profilati" come ricercatori e facilmente
"interagibili" (scusate la transitività) con i propri
colleghi, come avviene oggi con le piattaforme commerciali.</div>
</div>
</blockquote>
Su questo invece non sono così sicuro.<br>
Secondo me i repositories dovrebbero fare bene i repositories e i
social i social. Nel senso che se i repositories hanno contenuti
accessibili in modo aperto e standard, poi l'accesso integrato e con
funzionalità aggiuntive (discussione, post peer review etc.) è bene
che lo facciano piattaforme dedicate.<br>
Ad es. l'aggregazione dei propri paper a articoli funziona benissimo
in ORCID collegando i vari account di Scopu, Figshare, Zenodo etc.<br>
E iniziative come ScienceOpen (<a class="moz-txt-link-freetext" href="https://www.scienceopen.com/">https://www.scienceopen.com/</a>) ad es.
in pochi mesi hanno reso ricercabili più di 11 milioni di risorse.<br>
<blockquote
cite="mid:CAHYeEcBHmTDwSv+ZQgjz5-=Z8iiDKy+Zmpo=2GvD2rDZ2=iEcw@mail.gmail.com"
type="cite">
<div dir="ltr">Detto questo, mi è capitato di vedere alcuni
colleghi fregarsene altamente (a proprio rischio) dell'embargo e
caricare direttamente il pdf editoriale, così come mi è capitato
di incontrare pdf editoriali strategicamente piazzati nella
sezione "Drafts" o "Teaching documents". Disobbedienza
in-civile? Fatto sta che anche così il sottoscritto ha potuto
"bookmarkare" (orribile) e soprattutto scaricare sul proprio pc
quelli che in teoria avrebbero dovuto essere articoli ad accesso
chiuso, e che gli sono stati decisamente più utili così che non
se li avesse letti (almeno) un anno dopo. Chi va con lo zoppo
impara a zoppicare, diciamolo senza ipocrisie.</div>
</blockquote>
E questo è appunto il motivo ad es.perché io non utilizzo volentieri
Research Gate e Academia, perché se poi tutti zoppichiamo, alla fine
non andiamo da nessuna parte... :-)<br>
In realtà vedo tutta la potenzialità dell'interazione nei <i>sci-ocial</i>
<i>media </i>(to'... lanciamo un nuovo termine per i social per la
science? ;-P) ma mi danno fastidio le "disobbedienze" che vengono
fatte essenzialmente per pigrizia e opportunismo...<br>
<br>
Ale<br>
<br>
P.S. cmq, per accedere a letteratura di interesse, la vecchia e cara
richiesta via e-mail all'autore del paper vale ancora, solitamente
funziona bene e non viola nessun copyright<br>
<br>
<div class="moz-signature">-- <br>
<font face="courier,verdana,arial,sans-serif" size="2"
color="grey">
--
<p>Alessandro Sarretta</p>
<p>
skype/twitter: alesarrett<br>
Web: <a href="http://ilsarrett.wordpress.com">ilsarrett.wordpress.com</a>
</p>
<p>Research information:<br>
</p>
<ul>
<li><a
href="http://scholar.google.it/citations?user=IsyXargAAAAJ&hl=it">Google
scholar profile</a></li>
<li><a href="http://orcid.org/0000-0002-1475-8686">ORCID</a></li>
<li><a
href="https://www.researchgate.net/profile/Alessandro_Sarretta">Research
Gate</a></li>
<li><a href="https://impactstory.org/AlessandroSarretta">Impactstory</a></li>
<!-- <li><a href="https://impactstory.org/AlessandroSarretta"><img src="https://impactstory.org/logo/small" width="80" /></a></li> -->
</ul>
</font>
</div>
</body>
</html>