[Oa-italia] Quanto manca la formazione Open access

Maria Chiara Pievatolo mariachiara.pievatolo a unipi.it
Mer 10 Maggio 2017 19:59:07 CEST


Salve a tutti.

Trovandomi dalla parte dei docenti, vi dico che - come già sapete - il 
collegamento a VQR e ANVUR ha trasformato, agli occhi di molti, quello 
che restava dell'uso pubblico della ragione in un obbligo burocratico 
odioso, il cui senso, tutt'al più, è aumentare un po' il numero delle 
proprie citazioni.

Ecco una frase che ho sentito di recente: "Prima c'era il publish or 
perish, ora c'è l'open access". Non ci crederete, ma chi l'ha 
pronunciata intendeva, in buona fede ed essendo tutt'altro che quisque 
de populo, promuovere l'uso di IRIS.

È meglio costringere o no? A me sembra che ciascuna delle due vie si 
integri in tipi di progetti diversi, che qui riassumo, per brevità ed 
estremismo, in due:

A. Se ci interessa solo riempire IRIS, la soluzione più semplice è 
costringere. I ricercatori italiani sono oggetto di molti oneri 
burocratici, a cui si sottomettono senza neppure protestare troppo; 
aggiungerne uno, e a fin di bene, non costa nulla. Poi, però, non ci si 
deve né indignare né stupire se dei ricercatori tenuti in una condizione 
di minorità accuratamente coltivata reagiscono mugugnando infantilmente 
su Facebook.

B. L'altra soluzione, che avrebbe come effetto collaterale ricercatori 
che non vanno frignando sui media sociali proprietari, è infinitamente 
più difficile. Si deve infatti spiegare che l'accesso aperto è il primo 
passo di un uso pubblico della ragione che insegni a leggere di nuovo i 
testi invece di praticare il culto feticistico della collocazione 
editoriale, e a trattare i dati come dati di discussione e non come 
segreti alchemici. Non a caso il primo punto della  Amsterdam Call for 
Action for Open Science, già segnalata da Elena Giglia, è proprio il 
nostro convitato di pietra:  *change assessment, evaluation, and reward 
systems in science*.

A e B sono gli estremi di un segmento che comprende una serie di 
politiche possibili, più o meno lontane dall'uno o dall'altro, che 
lascio immaginare a chi è più esperto di me (le rivoluzioni copernicane 
sono astronomicamente affascinanti, ma politicamente bisogna anche 
farle...). Purtroppo, però, visto che il senso dell'OA sub A) è molto 
diverso da quello sub B), anche la formazione all'OA andrebbe pensata 
diversamente a seconda che si sia più vicini ad A o a B: se l'OA è un 
onere burocratico che ti impone l'ateneo per massimizzare le citazioni e 
spuntare buone valutazioni, sarebbe addirittura controproducente 
insegnarlo come se fosse l'OA di tipo B (*), e - naturalmente - 
viceversa.

Non scrivo, naturalmente, queste cose per i bibliotecari, che sanno 
molto e possono poco, ma pensando a chi sa di meno ma potrebbe di più.

A presto,
MCP


(*) Che succede se scopri che, nonostante l'OA, continuano a citarti 
poco? Non è un problema se sei un ricercatore convinto secondo la 
visione sub B); lo è invece se sei un ricercatore persuaso secondo la 
visione sub A)...




--
Maria Chiara Pievatolo
Dipartimento di Scienze politiche Università di Pisa
Via Serafini 3 56126 Pisa (Italy)
+39 050 2212479
http://btfp.sp.unipi.it https://twitter.com/btfp1
http://www.sp.unipi.it/index.php/en/docenti-top/122-pievatolo-maria-chiara



Maggiori informazioni sulla lista OA-Italia