[Oa-italia] un albo sulla qualità degli editori?

Antonella De Robbio antonella.derobbio a unipd.it
Ven 4 Maggio 2012 13:18:20 CEST


Se si bene l'articolo di Simonetta Fiora su Repubblica, quello che è
un punto di grande interesse nel dibattito "nazionale" è la questione
correlata alle modalità di finanziamento di queste monografie di
"qualità".
Ora linee di pensiero a parte in merito alle liste di "proscrizione"
di editori ;-) il punto è piuttosto un altro e se si legge bene
l'articolo si può anche intuire.

Come ben sappiamo noi del gruppo OA che da almeno tre anni stiamo
tentando di somministrare un questionario agli editori che si occupano
di editoria accademica (Ilaria ci sta lavorando ... con grande fatica
e con risultati assai scarsi...) il problema è rendere trasparenti le
modalità di pubblicazione di una monografia.
E una pratica diffusa nel mondo editoriale, come affermato da alcuni
editori tra cui Einaudi e Marsilio, che consiste nel pubblicare titoli
con il sostegno finanziario di dipartimenti, facoltà (ora ex).
Quanto si spende per tali pubblicazioni? Da un conto sommario una
università media può arrivare a spendere (soldi pubblici) ogni anno
anche 500mila €, ma andrebbe fatto un censimento che consenta di avere
dati, insomma un'analisi seria della spesa sarebbe necessario.
Come dice Graziosi GEV 11
«l´accreditamento degli editori, è sbagliato. Va evitata ogni
intromissione dello Stato nel mercato editoriale. Quel che chiediamo
agli editori non è di aderire a liste, ma di rendere pubbliche
procedure che spesso rimangono avvolte nell´oscurità, inducendo molti
a pensare che si riesca a pubblicare solo grazie a giuste conoscenze.
E anche il ricorso al sostegno finanziario, necessario per l´edizione
di alcune opere, è cosa legittima. L´importante è che l´editore lo
dichiari».

Come di legge nel citato articolo
"Sostanzialmente si chiede di rendere pubblici i criteri adottati dai
singoli marchi nella pubblicazione dei saggi storici, e anche i
consulenti regolarmente utilizzati e - altro fattore fondamentale - il
ricorso a contributi economici. Finanziamenti che arrivano dai fondi
di ricerca, dai singoli dipartimenti e anche dalle aziende private.
Pratica universalmente diffusa, ma non sempre dichiarata."

Non lo si dovrebbe fare solo per i saggi storici, ma per tutta l'area
umanistica, perché lo sappiamo tutti che alcune monografie anche
pubblicate da editori italiani di grande prestigio non subiscono
nessuna revisione, ma vengono pubblicati tout-court solo dietro il
pagamento (da parte del dipartimento) di una quota (variabile da caso
a caso) che può andare dai 4mila € e fino anche a 20mila per opera.
A corredo di tali operazioni "poco trasparenti" abbiamo contratti
capestro che vedono una cessione totale di tutti i diritti economici
all'editore,  sorta di acquisto camuffato di un numero fissato di
esemplari che il dipartimento "acquista" e regala (a colleghi, pari,
biblioteche...) e un numero di esemplari (copie) che vengono poi
buttate al macero (scritto su clausola del contratto) in quanto
l'editore non è in grado di effettuare diffusione capillare di dette
opere.

Quindi secondo me tante polemiche - anche se giuste da un punto di
vista - alla fine non portano a niente. Se vi devono essere delle
critiche è giusto, ma è giusto anche che siano costruttive, perché c'è
parecchio malcostume anche su questo versante.
Facile farsi finanziare dal dipartimento opere che alle volte non
passano nessun vaglio editoriale, cedendo tutti tutti tutti i diritti,
buttando al macero una buona metà e il resto lo si manda a valutatori
e biblioteche varie di modo che poi siano presenti negli OPAC... ai
fini della valutazione magari...
Quindi non è tanto un discorso di prestigio editoriale, ma di
procedura, che deve essere chiara e trasparente.

ciao a tutti
antonella




Il 04 maggio 2012 12:24, valentina comba <valentina_comba a yahoo.it> ha scritto:
> Ciò fa sì che spesso una collana non possa essere connotata come
> esclusivamente di ricerca, pur pubblicando lavori di ricerca a buon
> livello.L'idea potrebbe essere quella di una griglia di riferimento (a cui
> sia editori che autori o istituzioni possano riferirsi appunto) : sui citeri
> di revisione in particolare, sulla diffusione ecc. da applicarsi caso per
> caso.E naturalmente i full- text appena possibile.Saluti PG
>
>
> Tutto quello che dice Paola Galimberti sembra molto ragionevole.
> Come pure, per le riviste (in generale) la qualità del Comitato Scientifico
> e del processo di peer review.
> Peraltro, per entrare nel novero delle riviste considerate in JCR, vengono
> valutati una serie di aspetti,
> in primis questi due e le norme editoriali. Se le riviste umanistiche
> vogliono entrare a
> far parte di queste banche dati, devono essere compliant con indicatori di
> qualità, con una regolarità
> di pubblicazione annua, ecc. ecc.
>
> Tutto questo va nella direzione di una comunicazione in ambito umanistico
> più internazionale e standard
>
> Valentina Comba
>
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>
>
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