[Oa-italia] Open bibliographic data: quale è la situazione in Italia?

Pierfranco Minsenti pierfranco.minsenti a gmail.com
Mer 12 Ott 2011 13:46:50 CEST


Buongiorno,

sapere che oggi nella biblioteca di Settimo Torinese si parlerà di una
iniziativa che supporta il movimento open data ma che è attuata
dall'amministrazione comunale (e non dalla biblioteca) costituisce una buona
notizia ma allo stesso tempo non si può negare che la cosa fa anche uno
stranissimo effetto se si pensa alle sorti del movimento Open Bibliographic
Data: ovvero: che ne è dell'apertura dei dati catalografici da parte delle
biblioteche italiane?

Sarebbe ora di organizzare un incontro in cui porci delle domande scomode: a
fronte della diffusione del movimento Open Bibliographic Data, quante
biblioteche italiane sono in grado di poter dire che i loro dati non sono
chiusi nei loro gestionali e interrogabili solo attraverso una interfaccia
proprietaria, ma sono realmente aperti nel senso che ha la parola open per
questo movimento che si riferisce alla apertura nel senso di assenza di
vincoli giuridici e libera importazione dei dati per consentirne il
riutilizzo da parte di altri sistemi? Come ha spiegato Antonella De Robbio
in Bibliotime di luglio, c'è ancora scarsa comprensione del significato che
ha la parola "open" a causa della confusione tra dati accessibili nel senso
di "pubblici", ma con i limiti propri di un'accessibilità mediata solo
dall'opac, e quelli che invece sono dati "aperti" nel senso di messi
pubblicamente a disposizione di chiunque e riutilizzabili come vuole il
movimento Open Bibliographic Data, cosa che presuppone sul piano tecnico
l'esposizione dei dati per consentire l'harvestizzazione da parte di altri
sistemi, e questa a sua volta richiede l'adozione piena degli standards
internazionali sia a livello di comunicazione dati che al livello del
formato bibliografico. Quante università italiane sono sostenitrici
dell'accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche, ma non hanno ancora
messo in atto strategie atte a produrre dati bibliografici aperti e
riutilizzabili perché continuano a servirsi di sistemi chiusi e quindi non
sarebbero in grado di rispondere ai casi d'uso elencati nell'Open
Bibliographic Data Guide dalla fondazione inglese JISC a
http://obd.jisc.ac.uk/ ? E quanti degli attuali fornitori italiani di
gestionali per biblioteca sarebbero disposti ad adottare le modifiche
necessarie per venire incontro alla biblioteca italiana che volesse sposare
la filosofia open data rendendo aperti i propri dati?

Eppure quando ci pensiamo come consumatori non accetterremmo mai di doverci
servire di sistemi chiusi e per es. di non poter cambiare fornitore nel caso
di servizi telefonici o di poter usare un cellulare solo su certe linee.
Attualmente però non sembra di poter dire che nelle biblioteche italiane ci
sia la stessa sensibilità rispetto ai requisiti essenziali della
interoperabilità
dei software e la stessa attenzione nel pretendere dai fornitori la piena
adesione a standards molto diffusi all'estero. Ma in questo modo le
biblioteche finiscono per accettare inconsapevolmente tutte le chiusure
attualmente esistenti e che rischiano di diventare rapidamente una
caratteristica negativa esclusiva della situazione bibliotecaria italiana.
Questa conclusione negativa viene in mente se si fa un confronto con quello
che succede all'estero: le biblioteche oltre frontiera possono contare su un
buon numero di sistemi aperti, interoperabili tra loro e che danno la
possiiblità di esporre i dati a sistemi esterni.
Questo è il risultato significativo del cosidetto Berkeley accord del 2008
promosso dalla Digital Library Federation tra biblioteche e produttori di
software e basato sull'adozione di 3 funzioni che garantiscono
l'interoperabilità tecnica:
1. Harvesting: cioè lo scambio dati tra sistemi diversi "both in full, and
incrementally based on recent changes."
2. Real-time Availability: cioè le informazioni sullo stato di disponibilità
esposte in tempo reale tramite l'adozione di una modalità standard via
un'API dedicata
3. Linking: cioè la capacità del sistema di produrre URL stabili che rendono
possibile il deep linking ai singoli records.
Il testo dell'accordo si legge qui
http://www.diglib.org/architectures/ilsdi/DLF_ILS_Discovery_1.1.pdf  e
contiene l'elenco dei 10 più grandi fornitori stranieri di gestionali per
biblioteche che lo hanno sottoscritto. In Italia qualcuno ne ha parlato (per
es. Valdo Pasqui in un articolo del 2009) ma non sappiamo quali e quante
ditte italiane conoscono questo accordo, o sarebbero in grado di adottare
queste raccomandazioni o pensano di farlo.

L'accordo del 2008 si chiude significativamente con l'affermazione dello
spirito "utente centrico" dell'iniziativa che mira a migliorare la qualità
dei servizi: "We are all committed to providing the best library services
for research and learning. The agreement we are making now is an important
step in advancing these services for the library users of today and
tomorrow".

Sarebbe bello poter dire che che anche i produttori italiani sottoscrivono
questi principi concepiti per migliorare i servizi agli utenti mettendo
concretamente a disposizione delle biblioteche le 3 funzioni per
l'interoperabilità, ma oggi questo non è sempre quello che si può dire in
base all'esperienza. Il punto è che se i produttori italiani di software per
biblioteche non fanno proprie queste indicazioni, le biblioteche italiane
saranno in una situazione di crescente svantaggio rispetto alle biblioteche
all'estero.

Sarebbe forse opportuno partire da qui, dalla percezione di un ritardo
dovuto a una situazione di chiusura rispetto agli accordi che avvengono
all'estero, per riprendere  l'invito a fare un'autocritica che ha espresso
sulla lista AIB-CUR Gianni Stefanini il 26 settembre:
"Non stiamo dimenticando tutti i problemi, le inefficienze, i ritardi che
continuano a caratterizzare le biblioteche italiane?"

In tema di open data ci sarebbe quindi molto da dire in merito ai ritardi
delle biblioteche italiane, ai fattori frenanti legati al contesto e
forse varrebbe
la pena di fare un dibattito su questi problemi, tanto più quando
amministrazioni comunali e regionali si dimostrano più sensibili alle
ragioni del movimento rispetto alle biblioteche che dipendono da quelle
stesse amministrazioni. Dove sono le biblioteche? Per ora si limitano a
prestare la sala conferenze. Non c'è qualcosa di strano? Varebbe la pena
parlarne.

Buona giornata

Pierfranco Minsenti




Il giorno 12 ottobre 2011 12:22, Maria Cassella <maria.cassella a unito.it> ha
scritto:

> Il comune di Settimo Torinese ha desiso di adottare una politica di
> trasparenza e di consentire l'accesso ai propri dati nell'ambito di un
> progetto piu' ampio sugli Open Data che la Regione Piemonte coordina.
>
> Si parla di questi temi oggi alle 18,30 presso la Biblioteca Archimede
> della città di Settimo, Piazza Campidoglio 50, Settimo Torinese (vi allego
> il volantino dell'incontro).
>
> Chi invece volesse avere qualche informazione in piu' sul Progetto Open
> Data della Regione Piemonte puo' andare alla URL :
> http://www.regione.piemonte.**it/notizie/piemonteinforma/**
> diario/il-piemonte-prima-**regione-italiana-nell-open-**data.html<http://www.regione.piemonte.it/notizie/piemonteinforma/diario/il-piemonte-prima-regione-italiana-nell-open-data.html>.
> La piattaforma regionale per la condivisione dei dati aperti e' invece alla
> URL : http://www.dati.piemonte.it/ .
>
> saluti
> mc
>
> --
>
>
>
> _______________________________________________
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