[Oa-italia] articolo su D-lib Magazine e commenti di Stevan Harnard
Susanna Mornati
mornati a cilea.it
Mer 21 Mar 2007 18:12:24 CET
ok, mi ci metto anch'io, visto che sono stata anche citata ;-)
Approfitto intanto per dirvi (purtroppo l'ho
saputo solo ora) che questa sera alle 21 a Pavia,
al Csa Barattolo in via dei Mille 130, ci sara'
un dibattito sulle libertà digitali.
Sulla questione posta da Maria devo ammettere che
non ho ancora deciso da che parte stare. Da un
lato concordo sia con Ezio sia con Maria (degli
IR dovrebbero occuparsi solo autori e tecnici, ma
fra questi includerei anche i bibliotecari almeno
per gli aspetti tecnici), dall'altro sono
convinta che se aspettiamo gli autori in massa,
campa cavallo. Ma la soluzione non e' far fare tutto ai bibliotecari.
Poi non rinnego di aver detto, come ricorda
Valentina, e di continuare a pensare che alcuni
autori si vergognano talmente di quello che hanno
scritto che preferiscono stamparlo in 10 copie
solo a scopo concorso e non lo metteranno mai in
nessun IR. Sentivo proprio l'altro giorno
raccontare degli editori che offrono agli autori
di pubblicare (con ISBN e deposito legale) a
prezzi sempre piu' bassi. Dopodiche' l'autore
ritira tutte le copie, gia' pagate, che non
andranno mai in distribuzione, e si presenta ai
concorsi per posizioni accademiche. Chi riuscira'
mai a valutare queste pubblicazioni? Ma
soprattutto, perche' non metterle in un IR se
l'editore non ha intenzione di distribuirlo ne'
di venderlo? L'unica spiegazione e' che meno
gente riesce a leggerlo, meglio e' per l'autore.
Anche per questi motivi mi pare che il dibattito
vada assumendo aspetti irreali. Se una
istituzione decide di investire tempo e denaro in
un IR, ci mettera' quello che vuole e lo usera'
come vuole. Un IR costa, e allora perche' non
metterci i rapporti tecnici, le tesi, pensare
alla conservazione e ad altri servizi? Non mi
pare una questione di software, quanto di
benefici che si pensa di poter trarre. Alcune
cose hanno a che fare con l'open access, altre meno.
Io credo che alla fine le istituzioni piu'
prestigiose (mi riferisco ad esempio alla Top
100, non a quelle nostrane) detteranno una sorta
di standard, e le altre si adegueranno. Per non
sbagliare io controllerei la qualita' di cio' che
immetto nell'IR, ed eviterei di farmi
sbeffeggiare dal mondo inserendo descrizioni
senza full text o con embarghi geologici (nella
migliore delle ipotesi in alternativa alle
pernacchie citate da Ezio). Gli olandesi con
Cream of Science hanno la coda fuori di autori che vogliono depositare...
Ciao a tutt*
Susanna Mornati
CILEA
At 12.15 20/03/2007, Maria Cassella wrote:
>Cari colleghi,
>la scorsa settimana su D-Lib Magazine e' stato
>pubblicato il seguente articolo sul deposito
>istituzionale della Cornell University, che vi invito a leggere:
>
>>http://www.dlib.org/dlib/march07/davis/03davis.html
>
>I commenti di S. Harnard all'articolo si trovano a questo indirizzo:
>
>>http://openaccess.eprints.org/index.php?/archives/219-guid.html
>
>Tra i primi 4 assunti Harnard sostiene che :
>1. in un deposito istituzionale non dovrebbe
>essere inserita letteratura grigia ma solo materiale peer - reviewed;
>2. che i depositi non servono alla
>preservazione. Due cardini, o quasi, per chi si
>occupa di IR. Concordo sulla prima con S.H.. (mi
>sembra che la qualita' di un archivio sia un
>requisito imprenscindibile, poi vada anche anche
>la letteratura grigia ) ma sulla seconda si
>potrebbe discuterne. Cosa ne pensate? Poco tempo
>fa ne parlavo con Paola Gargiulo. Mi
>interesserebbe conoscere il parere della lista.
>Saluti a tutti
>Maria Cassella
>
>
>
>--
>
>
>
>
>_______________________________________________
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